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LA SECONDA GUERRA FREDDA

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“Guerra fredda” è la formula giornalistica che diventò d’uso corrente nel 1948, con l’inizio del blocco di Berlino, per definire lo stato di guerra non guerreggiata, ovvero di pace armata, fra i due grandi blocchi antagonisti e simultaneamente solidali nella spartizione del potere mondiale: il blocco occidentale facente capo agli USA e quello eurasiatico facente capo all’URSS. Pare che la fortuna di tale termine, impiegato per indicare un’intera fase storica, sia dovuta, se non a George Orwell che lo coniò, al giornalista statunitense Walter Lippmann, il quale lo diffuse tramite una serie di articoli pubblicati nel luglio 1947 sul “New York Herald Tribune” e poi raccolti nel volume The Cold War. A Study in U.S. Foreign Policy.

L’atto ufficiale di nascita della Guerra fredda può essere individuato nel discorso pronunciato il 5 marzo 1946 a Fulton (Missouri) da Sir Winston Churchill, che in quella circostanza usò per la prima volta un’altra espressione destinata ad incontrare analogo successo: “cortina di ferro”.

Caratterizzata da continui atti ostili, la guerra fredda fu combattuta con un’intensa attività propagandistica affidata alla stampa ed alle emittenti radiofoniche (“guerra delle onde”) e con la divulgazione di notizie ora incoraggianti ora deprimenti (“guerra dei nervi”).

Iniziata nello scenario successivo alla seconda guerra mondiale e finita nel 1989-1991, la guerra fredda può essere considerata, se è lecito continuare ad usare il termine “guerra” in maniera estensiva, una terza guerra mondiale. Se non altro, l’uso arbitrario del termine può servire a rappresentare la realtà di un conflitto che è terminato con la vittoria di un antagonista e la sconfitta dell’altro. Come sostiene Brzezinski, “siccome la guerra fredda è stata vinta pacificamente, sia i vincitori sia i vinti hanno condiviso l’interesse a nascondere il fatto che essa è terminata con una vittoria ed a mascherare sotto le parvenze di una riconciliazione tra Est ed Ovest quella che è stata una vittoria geopolitica e ideologica dell’Occidente”(1).

Infatti la guerra fredda o terza guerra mondiale “è stata un novum della storia, non tanto perché in passato non siano state condotte guerre in cui l’elemento religioso e l’elemento economico-territoriale non fossero già presenti (…) quanto perché siamo qui di fronte ad un intreccio fra elemento geopolitico (il confronto USA-URSS) ed elemento ideologico (il confronto fra capitalismo e comunismo) talmente potente ed invasivo da non tollerare vere e proprie analogie con eventi del passato”(2).

Nella fase attuale dei rapporti tra il blocco occidentale e la Russia, fase inaugurata dal putsch di Kiev sostenuto dall’Occidente, l’intreccio dell’elemento geopolitico con quello ideologico non è certamente così stretto come nel periodo della (prima) guerra fredda. La stessa formula di “guerra fredda”, secondo quanto ha dichiarato il 26 marzo 2014 Barack Obama, non sarebbe riproponibile, proprio per il fatto che, “a differenza dell’URSS, la Russia non guida un blocco di nazioni o un’ideologia globale”(3).

Va però osservato che il medesimo Obama, contraddicendosi in parte, ha tuttavia attribuito alla Russia postsovietica una visione ideologica, la quale sosterrebbe “che gli uomini e le donne comuni siano di vedute troppo corte per poter badare ai propri affari, e che ordine e progresso possano esserci soltanto quando i singoli rinunciano ai propri diritti a vantaggio di una potente sovranità collettiva”.

Per quanto riguarda il blocco occidentale, il presidente statunitense ha ribadito in maniera chiarissima la connessione tra l’aspetto geopolitico e quello ideologico. “Da un lato all’altro dell’Atlantico – egli ha detto – abbiamo abbracciato una visione condivisa di Europa; una visione che si basa sulla democrazia rappresentativa, i diritti dell’individuo, e il principio che le nazioni possano soddisfare gli interessi dei loro cittadini con il commercio e il libero mercato; una rete di sicurezza sociale e il rispetto per chi professa una religione diversa o ha origini diverse”. O caratteri antropologici diversi, come nel caso dei “nostri fratelli gay e [del]le nostre sorelle lesbiche”.

Obama non ha mancato di proclamare la validità universale di quelli che ha definito, parlando a nome dell’Occidente globale, “i nostri ideali”. “Gli ideali che ci uniscono – ha detto – hanno la medesima importanza per i giovani di Boston e di Bruxelles, di Giacarta e di Nairobi, di Cracovia e di Kiev”. E a proposito di Kiev ha dichiarato che “è proprio questa la posta in gioco oggi in Ucraina”: ossia l’imposizione degl’interessi geopolitici atlantici e della visione ideologica occidentale.

È vero che la radice della guerra fredda – intesa non come “un segmento di storia ma [come] una curvatura permanente della geopolitica contemporanea”(4) – è geopolitica prima che ideologica. Come dichiara in maniera franca e realistica il recente editoriale di una rivista di ispirazione occidentalista, “per l’America si tratta di garantirsi contro l’emergere di una potenza rivale in Eurasia. Poco importa se comunista, buddhista o vegana”(5).

Resta tuttavia il fatto che, se la Russia ha una sua visione geopolitica, essa non dispone però di una sua ideologia da contrapporre a quella occidentale. Eppure, come reclama Aleksandr Dugin, “la Russia, intesa come civiltà, non può, ma deve avere valori propri, diversi da quelli delle altre civiltà”.

L’esigenza di richiamarsi ai princìpi ispiratori della propria civiltà non riguarda soltanto la Russia, ma tutte le aree in cui si articola il continente eurasiatico e quindi tutte quelle forze che condividono la prospettiva di un’Eurasia sovrana. Gábor Vona ha espresso chiaramente tale esigenza: “Non ci può bastare – afferma il politico ungherese – un’alternativa semplicemente geografica e geopolitica, ma avvertiamo la necessità di un eurasiatismo spirituale. Se non siamo in grado di assicurarlo, allora la nostra visione rimane soltanto una diversa concezione politica, economica, militare o amministrativa, capace sì di rappresentare una diversità strutturale, ma non una rottura di livello qualitativa di fronte alla globalizzazione occidentale. Ci sarà un polo politico opposto, ma non una superiorità qualitativa. Tutto ciò può creare le basi per una nuova guerra fredda o mondiale, nella quale si affronteranno due forze antitradizionali, come è avvenuto nel caso dell’URSS e degli USA, ma certamente non sarà possibile contrastare il processo storico della diffusione dell’antitradizione. Per noi invece sarebbe proprio questo l’essenziale. Dal nostro punto di vista, è inconcepibile uno scontro in cui una globalizzazione si contrapponga ad un’altra globalizzazione”(6).

Claudio Mutti è Direttore di “Eurasia”.

NOTE

1. Zbigniew Brzezinski, The Consequences of the End of the Cold War for International Security, in The New Dimensions of International Security, “Adelphi Papers”, 265, inverno 1991-1992, p. 3.
2. Costanzo Preve, La quarta guerra mondiale, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 2008, p. 104.
3. Barack Obama, Usa ed Europa difenderanno il diritto, ma non è una nuova Guerra fredda, “La Stampa”, 27 marzo 2014, pp. 20-21.
4. Lo specchio ucraino, “Limes”, n. 4, aprile 2014, p. 18.
5. Lo specchio ucraino, cit., p. 17.
6. Vona Gábor, Néhány bevezető gondolat a szellemi eurázsianizmus megteremtéséhez, “Magyar Hüperión”, I, 3, nov. 2013 – genn. 2014, p. 294.

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